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4 settembre, 2019

Trasformare la plastica in carburante: il problema che diventa risorsa

È dagli anni 70 che scienziati e studiosi lavorano per riuscire nell'impresa di guarire quello che oggi più che mai sembra un fenomeno inarrestabile: l'inquinamento della plastica.

Era il maggio del 2011 quando Akinori Ito, ingegnere e fondatore dell’Azienda giapponese Blest, presentò per la prima volta al TED Talks di Tokyo la Magix Box. Questo macchinario – partendo dall’assunto che la plastica è un derivato del petrolio – è stato in grado di ripercorrere il processo produttivo del poliuretano a ritroso e di trasformare così un kilogrammo di plastica in un litro di petrolio pronto per essere utilizzato nei processi di raffinazione, per ottenere dunque benzina, diesel e kerosene[1].

 

Entrando nel merito, il processo di conversione, affinato nel tempo da un team di ricerca della Purdue University degli Stati Uniti e dalla dottoressa Linda Wang, comprende l’estrazione selettiva e la liquefazione idrotermica: nell’esperimento condotto dai ricercatori, il polipropilene è stato trasformato in carburante tramite l’utilizzo di acqua supercritica a 380-500° C e 23 MPa per un tempo di reazione tra 0,5 e 6 ore. Circa il 91% del campione è stato convertito in carburante a una temperatura di 425° C per 2 – 4 ore. I carburanti prodotti nel processo sono olefine, paraffine, idrocarburi ciclici e aromatici e la quasi totalità dei composti ottenuti possiede temperature di combustione e capacità energetica comparabili con quelli delle tradizionali nafte. Una volta che la plastica viene convertita in nafta, può essere utilizzata come materia prima per altre sostanze chimiche o ulteriormente separata in solventi speciali o altri prodotti[2].

 

Dalla teoria si è passati alla pratica: sarà realizzato in Trentino il primo impianto su scala industriale per riconvertire la plastica poliolefinica non riciclabile in biocarburante. Riplaid (Riconversione di Materiali Plastici in Idrocarburi) è un progetto di Lifenergy Italia (azienda fondata dalla Firmin, da oltre 40 anni presente nel contesto industriale di Lavis), frutto di una efficace sinergia tra mondo industriale e gli istituti di ricerca.

 

Sostenuto dalla Provincia Autonoma di Trento, Riplaid si avvale della collaborazione della Fondazione Bruno Kessler, della società Demont di Savona e del Cinsa, Consorzio universitario ambientale di Parma. L’idea che è stata messa in pista è utilizzare la plastica poliolefinica non riciclabile per ottenere un carburante conforme agli attuali standard, utilizzabile nei motori esistenti o negli impianti industriali, che sarà commercializzato direttamente nei distributori di proprietà della Firmin.

 

Tutto è nato tre anni fa per iniziativa di Samuel Le Bihan, amato ed eclettico attore francese, che mentre faceva surf in Mali ha toccato con mano gli effetti dell’inquinamento da rifiuti plastici sia in mare che nelle aree più povere del Paese. Da allora Le Bihan ha deciso di finanziare – e scendere in campo direttamente assieme al giovane ricercatore Christofer Costes – lo sviluppo di un progetto con un duplice obiettivo: contrastare l’inquinamento da rifiuti plastici (ogni anno finiscono negli oceani 8 milioni di tonnellate di plastica) e contemporaneamente fornire risorse alle comunità più povere e remote del pianeta, spesso sommerse da rifiuti.

 

“L’idea – ha precisato più volte Samuel Le Bihan – è incoraggiare la raccolta dei rifiuti prima che finiscano negli oceani e farlo grazie a un macchinario capace di produrre carburante”. Il progetto si propone come uno strumento per sostenere i Paesi in via di sviluppo, rendendo più consapevoli i cittadini non solo dell’importanza di non disperdere nell’ambiente i  rifiuti plastici, ma anche del fatto che tali scarti possono diventare concrete risorse[3].

Marco Sperandio